"La grande bellezza"

di Paolo Sorrentino. Con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli. Italia 2013. 140'

Alle soglie della pensione dopo una vita spesa a raccontare il nulla, lo scrittore e giornalista Jep Gambardella esercita la sua professione di cronista sempre sulla cresta dell'onda saltabeccando da una festa all'altra per raccontare la deriva morale e antropologica di un paese che cerca di sopravvivere a sé stesso in un delirio di vacuità assortite.

mercoledì 13 novembre 2013 - ore 18.00 e 21.00

5 commenti:

  1. Ciao a tutti, alla mia seconda visione del film, direi che “La grande bellezza” è da vedere e soprattutto da rivedere! In questo affresco potente e caotico, Roma è come una grande Babilonia, che tutto svuota di senso, che trascina gli uomini in rapporti superficiali e falsi, incatenandoli in un “trenino che non porta mai da nessuna parte”. La stessa Chiesa è rappresentata come formale, infantile e incapace di indicare il significato della vita: il cardinale non risponde ai dubbi del protagonista e preferisce parlare di ricette, così come l’omaggio alla santa appare rituale e quasi magico. Questa rappresentazione mi ha fatto pensare al libro del Qoelet: “vanità delle vanità, tutto è vanità!”; in effetti il tema del disfacimento e della morte appare già nella prima scena in cui il turista cade a terra improvvisamente, probabilmente morto, e la morte si ripropone per tutto il film accanto ad un’apparente e sfrenata spensieratezza. Eppure sotto questa crosta di desolazione, di tanto in tanto nel film si crea uno squarcio, una frattura in cui emerge qualcosa di indefinito che sa di autenticità, di innocenza, di nostalgia: sono i volti e i giochi dei bambini, sono le opere d’arte, sono i ricordi del primo amore. E’ in queste scene che si svela la grande bellezza che il regista ha voluto evocare? Le due scene finali che si svolgono in parallelo, in cui la santa raggiunge l’apice della sua ascensione e il protagonista ritorna alle fonti del suo amore, forse rappresentano due direzioni in cui cercare.

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  2. Veramente un bel film! Non sempre facile ed immediato nei significati che intende veicolare, ma per questo fa nascere il desiderio di rivederlo per cogliere più sfumature e "goderselo". Una Roma bella, aristocratica.....e vuota, come le vite dei personaggi, cariatidi che si trascinano instancabilmente dietro alle loro maschere.....Ma c'è dell'altro, un desiderio di bellezza non solo estetica ma interiore del protagonista che, pur nascendo da un moto profondo dell'anima, rimane lontana e sempre inafferrabile. Bella la fotografia e i dialoghi oltre ad un cast di tutto rispetto.
    Grazie per la scelta.
    Un saluto a tutti. Antonella

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  3. La vera protagonista di questo film è la nostalgia, il mito del ritorno. Il protagonista, in veste di moderno Ulisse, compie il suo viaggio interiore attraversando tutte le situazioni umane che una città come Roma può offrire, assieme al suo equipaggio, gli amici festaioli, relitti umani di una battaglia ormai lontana. Il dramma è la consapevolezza di essere condannati a vagare, nell'oceano delle apparenze, incantati soventi dalle sirene, trasformati in porci dalla Circe di turno. Solo il ritorno alla mitica Itaca, ricordo di una felicità primigenia e istintiva, dai tratti materni, permette di ritrovare il bandolo della matassa, un qualche sorta di senso dell'esistere. Come dice la Santa nel film: "le radici sono importanti". Può anche rappresentare un punto di partenza per la ricerca di fede? La narrazione non lo dice: le figure religiose sono caricature grottesche schiave di se stesse, la città eterna assiste bellissima e altera, irraggiungibile sullo sfondo.

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  4. Ciao a tutti, abbiamo pubblicato sulla pagina delle Recensioni, il contributo di Enzo Riccò sul film “La grande bellezza”. Vi segnalo inoltre il seguente link in cui potrete riascoltare un brano molto importante della colonna sonora del film; si tratta di un pezzo scritto dal compositore John Tavener sul testo di una poesia di W.Blake “The Lamb”: http://www.youtube.com/watch?v=T8-cFRjcdU0
    Questa musica, insieme ad altre simili, è il sottofondo di alcuni momenti in cui al protagonista appare in modo improvviso il senso dell'esistenza, smarrito nel caos della mondanità.

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  5. Gep è sempre stato in contatto con l'infinito: ogni volta che in camera sua si corica sul letto e guarda il soffitto vede il mare. La lotta ancora irrisolta è quella dell'autenticità: è quasi istintivo in lui agire secondo copione con i sorrisi, discorsi e comportamenti di circostanza (addirittura il cliché del funerale... che però gli riserva un imprevisto...). Così continua a camminare, anche se per lo più nella notte. Nei dialoghi a due, e forse ancor di più nei monologhi, la mondanità e l'esteriorità cedono il posto ad una umanità comunque umile e sincera, riconosciuta da amici antichi e nuovi.

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